"Intervista ad Attilio Grilloni. Antropologia e amoralità"
IL MEDIARIO.IT
17 Luglio 2007
Intervista ad Attilio Grilloni
Antropologia e amoralità


Spesso una rapida occhiata ad un qualsiasi palinsesto televisivo porta alla considerazione che la televisione italiana manca di struttura e di idee. Eppure esiste una narrativa televisiva ed esistono dei professionisti che si adoperano affinché questa venga rispettata. Abbiamo incontrato un autore il cui nome ricorderà ad alcuni il volto di una nota e rimpianta tv a target giovanile. Oggi, Attilio Grilloni, forte della sua esperienza sul campo, c'invita a riflettere su alcuni dei programmi verso i quali spesso si scagliano le facili critiche del moralismo televisivo.

Sei stato un veejay prima ancora che questo termine arrivasse in Italia e diventasse di moda. Eri, peraltro, molto amato dal pubblico. Quando e perché hai deciso di passare dall'altra parte della telecamera?
Non mi è mai interessato apparire, anzi: essere riconosciuto per strada, amato o detestato da persone che neanche mi conoscevano aveva qualcosa di surreale. Ma a vent'anni viaggi, dischi e concerti gratis fanno gola e per qualche anno mi sono lasciato comprare. Ma non ero bravo - non ci provavo neanche, a dire il vero - e comunque non avevo nè la stoffa nè l'ego dei vj che vedo oggi.

Hai una lunga esperienza come autore di programmi televisivi rivolti ad un target molto giovane: da tempo collabori con Mtv. Quali sono le difficoltà di rivolgersi ad un pubblico così esigente ed in continua "evoluzione"?
Non so se "esigente" sia il termine più adatto. Credo piuttosto che quello giovane sia un target talmente bombardato da messaggi e informazioni che, un po' per difesa e un po' per pigrizia, negli ultimi anni si sia chiuso progressivamente. I ragazzi che incontro sono allo stesso tempo disincantati e distratti e non è facile catturarne l'attenzione. Quello che vogliono comunque te lo dicono loro: basta sapere dove trovarli. Il che per me significa in snowboard, ai concerti, per strada e, ovviamente, in Rete.

Scrivere per la televisione prevede, oltre ad una buona dote di creatività, anche una certa propensione alla psicologia e al marketing. Ti sei mai fatto degli "scrupoli morali"?
Si, è capitato. Ma alla fine si tratta solo di televisione.

Eppure eri uno degli autori di Real Tv, il programma che, a mio avviso, ha decretato, molto prima dell'avvento del Grande Fratello, un decisivo e drammatico cambio nei gusti dell'utenza televisiva...
Questa è la critica più diplomatica che abbia sentito su Real Tv, grazie. In quegli anni - non faccio più Real Tv da diverse edizioni -ne ho sentite di tutti i colori: alcune circostanziate, altre di un moralismo anacronistico. Real Tv era una sorta di "strano ma vero" televisivo dove veniva rappresentato tutto ciò che secondo i canoni del tempo poteva essere definito straordinario: dal numero da stuntman alla sparatoria, dal record da Guinness dei Primati agli sport estremi. Nel mucchio sono finiti anche incidenti di vario tipo, che sono diventati - anche grazie alla Gialappa's, che ne ha fatto una parodia perfetta - il simbolo del programma.
Per me l'interesse per certe cose non è morboso, è antropologico. La gente, anche la mamma perbenista che critica Real Tv, rallenta quando vede un incidente stradale. Fa parte del nostro DNA ed è una spinta tutt'altro che amorale: chi ha voglia si legga un libro, magari "Il Dono della Paura" di Gavin De Becker. Gli altri se la prendano pure con la tv mentre i loro figli su YouTube e siti simili cercano - e poichè sono più svegli dei genitori, trovano - qualsiasi cosa. Detto questo io mi sono divertito facendo Real Tv, provando sport nuovi, andando in addestramento con i baywatcher californiani, in pattuglia con la Polizia a South Central Los Angeles o con i Vigili del Fuoco dopo l'11 settembre.

Cosa pensi della televisione italiana?
Penso quello che è inevitabile pensare: bassa, omologata, con veramente poche idee. Ma è fin troppo facile sparare su un mercato quasi privo di concorrenza reale.

Credi che fornire ai ragazzi gli strumenti per comprendere il linguaggio dei media possa aiutarli a diventare essere umani più consapevoli?
Si, decisamente. Si chiama autodifesa.

Tornando ai reality show: hai una considerevole esperienza anche in quell'ambito. Il pubblico crede che la presenza di autori in questo tipo di prodotto televisivo dimostri che quanto viene trasmesso è in realtà pre-costruito. Ci racconti cosa vuol dire fare l'autore per questo genere di programma?
In realtà di reality ne ho fatti solo un paio, tra cui l'Isola dei Famosi, che è quello che continua a ottenere maggiori consensi. È difficile spiegare la natura di un lavoro così complesso: lo sforzo è enorme e costante, 24 ore al giorno, per due mesi. Quello che sostiene la produzione è assolutamente vero: il compito degli autori si limita, una volta definito il cast, alla scelta e al montaggio di ciò che i concorrenti, in perfetta libertà, decidono di fare. Nel mio caso, poi, si trattava di ideare, costruire, e girare le prove settimanali (di immunità e di ricompensa) per i concorrenti. Ero pagato per torturare, in sostanza.
Agli scettici, propongo una riflessione: se foste nei panni di un autore e doveste barare - influenzare quindi gli eventi attraverso la complicità di uno o più dei concorrenti - vi fidereste di spie come Enzo Paolo Turchi o Antonella Elia?

Quali sono gli aspetti che ami di più e quelli che ami di meno del tuo lavoro?
Sono fortunato. In quasi tutti i programmi che ho fatto sono riuscito a inseguire le mie passioni: musica, viaggi, sport da tavola, avventura. Mi piace molto scrivere, girare e montare. Tutto quello che c'è in mezzo: budget, preventivi, riunioni, preproduzione, mi logora.

E per concludere: qual è il tuo programma preferito?
In Italia riesco a guardare Chiambretti, Le Iene, la Gialappa's, Report. Per il resto, meglio la Rete.

BIOGRAFIA
Attilio Grilloni nasce ad Udine nel 1970. A soli 20 anni entra nell'Ordine Nazionale dei Giornalisti. Scrive di musica, sport estremi e culture giovanili per Rockstar, Rockerilla e L'Espresso. A 21 anni lascia gli studi in Scienze Politiche per fare il vj per Videomusic, la prima rete musicale in Europa. A 25 anni decide di saltare dall'altra parte delle telecamere e da quel momento ha lavorato per Mediaset, Rai, Mtv, i network radiofonici RTL 102.5 e R101, oltre a collaborare con numerose agenzie di comunicazione per eventi e campagne di diverso tipo.

A cura di Roberta Lippi